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  • Zero click search: la nuova sfida per marketer B2B e DTC nell’era dell’AI

    10 Luglio 2025

    La diffusione della zero click search e dell’intelligenza artificiale nei motori di ricerca ha portato a un calo del 20% nei CTR organici per molte aziende B2B e DTC.

    I brand reagiscono rivedendo keyword, strutture dei siti e contenuti per migliorare la share of model. Il 58% dei consumatori usa già strumenti di ricerca AI al posto di Google.

    Secondo Commercetools, il CTR organico è calato del 20% da novembre 2024, dopo l’introduzione degli AI Overviews di Google.

    Anche le DTC brand vedono un calo medio del 5% nel paid search e del 20% nell’organico, soprattutto tra i consumatori under 30.

    È l’effetto diretto della ricerca zero clic su Google.

    Come cambia la SEO con la zero-click search e l’intelligenza artificiale

    L’avvento della zero-click search alimentata dall’intelligenza artificiale sta rivoluzionando radicalmente il modo in cui le aziende concepiscono la SEO.

    Se prima l’obiettivo era portare traffico verso il sito attraverso clic organici, oggi il focus si sposta sulla visibilità all’interno delle risposte generate direttamente dai motori di ricerca o dagli assistenti AI come ChatGPT, Perplexity e gli AI Overviews di Google.

    La SEO tradizionale, basata su ottimizzazione on-page, backlink e dominio d’autorità, non basta più.

    I contenuti devono ora essere formattati per i modelli linguistici (LLM), che rispondono direttamente agli utenti, estraendo informazioni da fonti affidabili e strutturate.

    Questo impone una nuova logica: non più conquistare il primo posto in SERP, ma essere citati nella risposta AI.

    I cambiamenti chiave includono:

    • Priorità alla chiarezza semantica: contenuti scritti in linguaggio naturale, risposte brevi e dirette, uso di markup strutturati (es. schema.org).
    • Diminuzione del valore delle long tail keyword, che vengono spesso “assorbite” nelle risposte dirette AI.
    • Spostamento verso contenuti più autorevoli (citazioni da testate giornalistiche, white paper, contenuti editoriali), preferiti dagli LLM per alimentare le risposte.
    • Ottimizzazione per la “share of model”: l’obiettivo non è più solo essere trovati, ma essere inclusi nei dataset e nei prompt dei modelli AI.

    In questo nuovo scenario, la SEO non muore, ma si ibrida con la comunicazione strategica e la brand authority.

    Le aziende devono investire nella produzione di contenuti evergreen, facilmente indicizzabili e citabili, capaci di vivere oltre il clic, all’interno degli ecosistemi generativi che plasmano la ricerca del futuro.

    Strategie SEO per difendersi dai risultati generati dall’intelligenza artificiale

    Con l’ascesa della zero click search e l’integrazione sempre più pervasiva di modelli linguistici nei motori di ricerca, le aziende devono adottare nuove strategie SEO per non essere escluse dalle risposte generate direttamente da strumenti come Google AI Overviews, ChatGPT o Perplexity.

    Non si tratta più solo di conquistare traffico: si tratta di restare visibili, anche quando l’utente non clicca.

    Una delle prime misure adottate da molte agenzie e brand è ridurre l’investimento sulle long tail keyword, spesso assorbite direttamente dalle risposte AI. Al loro posto, si punta su query più mirate, spesso branded o ad alta intenzione, che riducono il rischio di essere “filtrate” dal modello.

    Tra le strategie più efficaci:

    • Adattare il copy degli annunci e dei contenuti organici al contesto conversazionale dell’AI search, evitando titoli vaghi o troppo pubblicitari.
    • Rafforzare la brand authority attraverso earned media, pubblicazioni su siti affidabili, e contenuti editoriali che abbiano maggiore probabilità di essere citati dai LLM.
    • Strutturare i contenuti per il machine learning: ciò significa usare header chiari, paragrafi brevi, risposte dirette e markup semantico.
    • Monitorare la “share of model”, ovvero la frequenza con cui il brand viene menzionato nelle risposte generate dall’intelligenza artificiale.

    Alcuni brand, come Kendra Scott, hanno creato migliaia di nuove pagine tematiche generate da AI, progettate per intercettare in modo mirato le nuove modalità di ricerca, ottenendo una presenza stabile tra i primi risultati anche in modalità zero-click.

    Infine, la SEO non è più un’attività isolata: si intreccia con PR digitali, branded content e performance marketing.

    L’obiettivo non è solo comparire, ma essere citati nei dataset, influenzare gli LLM e presidiare gli spazi informativi dove si forma la nuova “realtà” della search.

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    Zero click search e nuovi KPI per la visibilità

    I team marketing non si affidano più solo a CTR e conversioni: si valuta ora la “share of model”, ovvero quante volte un brand viene menzionato dai risultati generati da AI. Commercetools, ad esempio, ha ridefinito le pagine del sito e usa metriche come le assisted conversions per monitorare l’efficacia.

    DTC marketing AI: copy ottimizzato e pagine generate

    Kendra Scott ha creato 8.000 nuove pagine tematiche con AI per aumentare la visibilità organica, raggiungendo il 27% di ranking in prima pagina e generando il 5% del traffico annuale.

    L’uso dell’intelligenza artificiale nei motori di ricerca non è solo una minaccia, ma anche un’opportunità.

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    L’impatto di ChatGPT e Google AI Overviews sul marketing B2B

    Nel mondo del marketing B2B, l’impatto della zero click search generata da strumenti come ChatGPT e i Google AI Overviews è già evidente e in rapida evoluzione.

    A differenza dei settori consumer, il B2B si basa su percorsi d’acquisto lunghi, ricerche informative approfondite e conversioni ad alta complessità. L’intervento dell’AI in questi processi rappresenta un cambio di paradigma.

    Secondo quanto riportato da diversi CMO del settore, la diminuzione dei clic organici e a pagamento ha colpito soprattutto le fasi iniziali del funnel, quelle in cui l’utente sta raccogliendo informazioni.

    L’AI, fornendo risposte sintetiche e contestuali, intercetta l’utente prima che arrivi sul sito aziendale, comprimendo o saltando del tutto le prime fasi del customer journey.

    Il rischio maggiore? Perdere la prima impressione. Se il tuo brand non viene menzionato nelle risposte AI, non esiste per il potenziale cliente. Questo ha spinto molte aziende B2B a:

    • Ripensare la strategia SEO per ottimizzare la visibilità nei modelli linguistici (LLM).
    • Investire nella produzione di contenuti autorevoli che possano essere citati dall’AI.
    • Creare asset digitali (white paper, casi studio, analisi di settore) che alimentano le fonti “trusted” per l’intelligenza artificiale.
    • Adottare KPI alternativi come la share of model, ovvero il numero di volte in cui un brand viene incluso nei risultati AI-generated.

    Alcuni brand stanno reagendo con campagne di brand awareness multicanale, tornando a investire su TV, YouTube, social ed eventi esperienziali, per aumentare la riconoscibilità del brand e compensare la perdita di esposizione nel search.

    In sintesi, per il B2B la sfida non è solo tecnica, ma strategica: mantenere la propria rilevanza in un contesto dove l’AI filtra, sintetizza e decide cosa mostrare all’utente, prima ancora che il sito venga caricato.

    Perché la zero-click search riduce il traffico verso i siti web

    La zero click search si basa su un principio semplice ma dirompente: offrire all’utente una risposta immediata nella SERP, senza che debba cliccare su un risultato.

    Questa esperienza “frictionless”, potenziata da strumenti come Google AI Overviews e ChatGPT, sta trasformando i motori di ricerca da strumenti di indirizzamento a sistemi di risposta chiusa.

    Il risultato è un crollo misurabile del traffico verso i siti web, soprattutto in fase di awareness e discovery. Secondo recenti studi, fino al 65% delle ricerche non genera più clic. Per i siti che facevano affidamento su query informative, soprattutto con long tail keyword, l’impatto è devastante.

    Le cause principali sono tre:

    1. Risposte esaustive nella pagina di ricerca: snippet AI, box esplicativi e overview generati dai modelli linguistici offrono contenuti completi, riducendo l’esigenza di visitare un sito.
    2. Dominanza di fonti editoriali e ufficiali: gli algoritmi LLM privilegiano contenuti già presenti su portali autorevoli, riducendo la visibilità di blog, brand e siti commerciali.
    3. Cambio nel comportamento utente: secondo Capgemini, il 58% dei consumatori ha già sostituito Google con strumenti di ricerca AI, mentre il 35,8% degli americani usa ChatGPT regolarmente per cercare informazioni.

    Questa trasformazione impone un cambio di rotta per chi fa AI search marketing: non basta più essere “trovabili”, serve essere riconosciuti come fonte autorevole dai modelli linguistici, essere citati all’interno della risposta, anche senza clic.

    In questo contesto, il traffico non è più l’unico indicatore di successo. Cresce l’importanza di metriche come l’impatto sul modello (share of model), la brand awareness nell’era AI, e la presenza nei contenuti AI-generated.

    La sfida, quindi, è essere visibili anche quando l’utente non visita il tuo sito.

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    Cos’è la “share of model” e perché è importante nel marketing con AI

    Nel contesto dominato dalla zero click search e dalla crescente adozione dell’intelligenza artificiale nei motori di ricerca, emerge un nuovo KPI cruciale per marketer e brand strategist: la “share of model”. Ma cosa significa realmente?

    La share of model indica la frequenza con cui un brand, prodotto o contenuto viene citato o richiamato dai modelli linguistici (LLM) come Google Gemini, ChatGPT o Claude quando generano risposte agli utenti. È, in sostanza, la nuova metrica della visibilità organica nell’era dell’intelligenza artificiale, che va oltre il clic e il ranking tradizionale.

    In un mondo dove gli utenti ottengono risposte direttamente nella SERP o da chatbot, la domanda più strategica diventa: il mio brand è parte della risposta AI?

    Se non lo è, non esiste per il nuovo tipo di utente che non visita più i siti web, ma si affida al contenuto generato dai modelli.

    Per questo motivo, la share of model sta diventando una bussola nel AI search marketing, e chi la monitora sta adottando strategie precise per migliorarla:

    • Creare contenuti autorevoli e referenziabili, adatti a essere letti, compresi e “riutilizzati” dai LLM.
    • Essere citati in media e fonti editoriali affidabili, che influenzano direttamente l’output dei modelli.
    • Ottimizzare testi, tag e struttura dei siti per favorire l’indicizzazione semantica utile ai modelli AI.
    • Diversificare la presenza digitale con contenuti longform, white paper, guide, casi studio e menzioni su siti terzi.

    Secondo diversi CMO intervistati, la share of model è oggi un indicatore più rilevante del CTR, soprattutto in settori B2B e DTC dove la visibilità nei risultati AI è più importante del traffico in sé. In un ecosistema dove il clic è sempre più raro, contare nel modello è più importante che contare nei risultati.

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