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  • Il sogno della everything app: dal modello cinese alle opportunità occidentali

    3 Settembre 2025

    La nostra quotidianità è già immersa in un’era post-digitale, dove le tecnologie sono sempre meno percepite come una rivoluzione separata dalla realtà, ma come un elemento invisibile e onnipresente, intrecciato con noi in modo fluido e sempre più ibrido.

    In Cina questa integrazione è già avvenuta, con una accelerazione clamorosa nell’era post-Covid. In Occidente ancora viviamo immersi in una forte frammentazione dei touchpoint necessari per portare avanti le attività necessarie ogni giorno alla nostra vita come messaggistica, mappe, sistemi di pagamento, food delivery, social media, trasporti, ticketing e molto altro ancora.

    Siamo abituati, come utenti, a districarci tra decine di app e siti web che quasi sempre non si parlano tra di loro.

    L’idea di un’unica piattaforma che contenga decine e decine di applicazioni in grado di dialogare e interfacciarsi con la nostra identità digitale suona irreale, eppure la via è già stata tracciata dai giganti cinesi WeChat e Alipay, le “everything app” di Pechino dove il documento di identità e il riconoscimento facciale sono integrati con ogni tipo di funzione.

    Everything app: WeChat e Alipay

    WeChat, lanciata dalla società di investimenti Tencent nel 2011 come semplice chat, si è evoluta presto in un ecosistema digitale onnicomprensivo vissuto quotidianamente da oltre 1,3 miliardi di utenti nel 2025, in crescita costante.

    everything app - WeChat

    Oltre alla messaggistica testuale, simile a WhatsApp, include “Moments”, una sorta di social media integrato e utile per condividere contenuti con gli amici.

    Inoltre, all’interno si trovano decine di mini-programmi: applicazioni leggere embeddate nell’app, che evitano download separati, con cui accede a servizi come prenotazioni di trasporti (DiDi, il corrispettivo di Uber), ordinare cibo o persino fissare appuntamenti medici.

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    WeChat Pay, il wallet integrato, gestisce trasferimenti peer-to-peer e persino investimenti. L’integrazione con i servizi governativi è ovviamente profonda: si possono pagare multe, accedere a certificati digitali e molto altro.

    Alipay, nata nel 2004 come strumento di pagamento per Alibaba, è diventata presto molto di più: con oltre un 1.4 miliardi di utenti attivi mensili, trasforma lo smartphone di ciascun utente in un vero e proprio hub di pagamento e logistica, eliminando praticamente il contante dalle transazioni: il risultato è una società sostanzialmente cashless.

    everything app: Alipay home

    Le funzioni chiave includono pagamenti QR per acquisti, scansione di codici, prenotazioni di trasporti (voli, treni, metro ecc) ed eventi (con l’integrazione di Trip.com). E ancora: traduttore, mappe e funzioni gamificate come i “Red Packets” con cui è possibile fare regali.

    Gli ostacoli per una everything app occidentale

    In Occidente, delle applicazioni simili, magari evoluzione di WhatsApp, Apple Pay (che al momento è un componente di un ecosistema chiuso) o persino X di Elon Musk, potrebbero unificare esperienze al momento caotiche?

    X ha già introdotto funzionalità come Grok AI, i pagamenti peer-to-peer sono in fase di test, come l’integrazione con servizi esterni, ma l’adozione è ancora limitata e frammentata rispetto ai modelli cinesi.

    Quella di Musk non è quindi una strategia ipotetica, ma un progetto già in corso, benché ostacolato da sfide regolatorie e di fiducia (e soprattutto di adozione di massa) della base degli utenti.

    In generale, sono proprio due gli ostacoli principali che vediamo nella realizzazione delle everything app in Occidente: il primo è proprio l’adozione di massa e il secondo è il gap a livello di integrazione tecnologica.

    Il primo divario è difficilmente risolvibile con l’architettura democratica, almeno per come la conosciamo oggi. Non mancano tuttavia gli esempi che ci dicono il contrario: pensiamo al periodo della pandemia Covid dove certe tecnologie ebbero un utilizzo forzato di massa.

    Chi si ricorda le lezioni su Zoom e il Green Pass per accedere ai servizi?

    La soluzione al secondo problema presupporrebbe invece un dialogo eteroguidato dall’alto che, di fatto, obbligasse le società tech a integrare i propri sistemi, mettendo da parte barriere competitive, brevetti, regolazioni antitrust e molti altri problemi.

    La Cina punta tutto sull’efficienza e l’armonia collettiva, e noi?

    L’Occidente potrebbe distinguersi innanzitutto innovando con un approccio che tenga conto anche della privacy dei cittadini.

    Le sfide non mancano, dall’antitrust per scongiurare monopoli (basti pensare a Meta) ai divari culturali, con la preferenza di molte fasce della popolazione per app specializzate, fino ai rigidi regolamenti europei sull’intelligenza artificiale e la protezione dei dati.  Eppure, le opportunità sono enormi: piattaforme come Revolut o PayPal stanno già ibridando finanza e servizi quotidiani.

    In Cina, grazie a questa integrazione, il tempo speso su app multiple è calato drasticamente, creando un “super-ecosistema” dove l’identità digitale si fonde con quella reale.

    Una super-app occidentale potrebbe evolvere questo modello grazie a un equilibrio (utopico?) tra efficienza e libertà che non riguarderebbe soltanto la tecnologia ma anche, giocoforza, la struttura politica e sociale delle nostre nazioni.