Daily Brief – Martedì 22 ottobre 2024
Quando il mercato punisce il brand activism: le echo chamber e il caso Bud Light
Cosa è successo a uno dei marchi di birra più iconici degli States?
3 Agosto 2023
Brand Activism o marketing sbagliato?
Cosa è successo a uno dei marchi di birra più iconici degli States? Alcuni membri del team marketing dell’azienda hanno pensato fosse una buona idea quella di stringere una partnership con Dylan Mulvaney, popolarissima influencer trans da 12 milioni di follower tra Tik Tok e Instagram.Mulvaney è apparsa su una lattina di Budweiser e ha girato un video sui social bevendo una birra in una vasca piena di schiuma. I consumatori di Bud Light hanno così iniziato una campagna di boicottaggio del prodotto che è cominciata in rete ma ha finito per coinvolgere ogni bar e supermercato del Paese. Ovviamente, il crollo di Bud Light non riguarda solo le azioni del gruppo ma si è ripercosso su migliaia di lavoratori che ogni giorno che producono, imbottigliano, distribuiscono e vendono il marchio. Budweiser, nel disperato tentativo di porre rimedio al danno d’immagine, ha prodotto uno spot che mostra i valori originari del brand. Una mossa ovviamente tardiva che ha scaldato ulteriormente gli animi di un pubblico già estremamente polarizzato.Visualizza questo post su Instagram
Alienare la propria base di consumatori
Non tutti i posizionamenti sono adatti a tutti e il mercato, prima o poi chiede il conto. Perché molte aziende, specialmente negli Stati Uniti, sembrano aver deciso di alienare la propria base di consumatori? Il caso Bud Light non è certo isolato: il brand activism, quando è fatto senza tenere a mente i gusti e le idee del proprio target di consumatori, sempre più spesso incappa in scivoloni che danneggiano notevolmente il conto finanziario delle aziende. Una storia che ribadisce l’ovvio: non tutti i posizionamenti sono giusti per tutti. Si pensi ad esempio a Disney con i recenti flop di “Strange World” e “La Sirenetta”, che si aggiunge al crollo dello streaming. Perfino le file nei parchi a tema sembrano essersi ridotte notevolmente. Nonostante il CEO Bob Chapek fosse stato rimosso dopo la trimestrale disastrosa del 2022, la nuova dirigenza non sembra avere scelto di discostarsi dalla precedente gestione, prova ne è la prossima release del già criticatissimo “Biancaneve”. Il risultato è che il titolo in borsa è ai minimi dal lontano 2014. La catena di supermercati Target , dal primo febbraio a oggi, ha perso la cifra monstre di 22 miliardi di capitalizzazione, a seguito al boicottaggio dei consumatori contro la scelta di vendere costumi transgender e abbigliamento da bambini a tema “pride”. L’azienda è stata costretta a tornare sui propri passi ritirando dagli scaffali molti dei prodotti al centro della polemica. I casi appena elencati sono figli di alcune scelte di brand activism errate che hanno insistito nel cavalcare alcuni temi del momento senza considerare il proprio posizionamento di prodotto e i valori dei consumatori. Celebre la battuta ironica, ormai datata, di Michael Jordan: “Anche i repubblicani comprano scarpe da ginnastica“, recentemente ritornata al centro delle polemiche. LEGGI ANCHE: Nike x Martine Rose: nasce la prima linea sartoriale gender-freePerché alcune scelte dei marketing manager seguono la pancia e non i dati
La spiegazione è complessa e, con tutta probabilità, ha molto a che fare con le echo chamber. Per “camera dell’eco” si intende quel fenomeno sociale in cui un gruppo di persone, online o offline, è esposto a informazioni, notizie, idee e letture della realtà congeniali alle proprie convinzioni preesistenti. Insomma, opinioni che ci piacciono espresse da gente a cui siamo legati da simpatia, affetto, stima o amicizia. L’eco di queste opinioni è amplificato dagli algoritmi dei social ed è impermeabile a voci dissonanti e, purtroppo, anche a un dialogo. La conseguenza del proliferare delle echo chamber è naturalmente la polarizzazione degli utenti, consumatori o cittadini elettori, a seconda del contesto in cui questa “bolla informativa” è collocata. La polarizzazione è un fenomeno tipico ma non peculiare della nostra epoca, la cui fama è tornata in auge grazie agli algoritmi dei social. Le piattaforme come Facebook, Instagram TikTok ed altre mostrano a ciascun utente i contenuti più adatti non solo ai propri gusti in fatto di prodotti o servizi ma anche più aderenti alle proprie credenze, valori e ideologie. Il modello di business dei social, che si basa sulla vendita della pubblicità, ha tutto l’interesse a far rimanere il più possibile le persone all’interno delle piattaforme; la polarizzazione viene premiata perché le interazioni generano audience, l’audience genera permanenza sulle piattaforme e la permanenza porta all’esposizione agli annunci pubblicitari. Nel corso della nostra vita, quando ci imbattiamo in opinioni congeniali alle nostre credenze, entriamo in una sorta di comfort zone psicologica: il mondo va nella direzione giusta o, almeno, pensiamo che la gente “intelligente” come noi lo stia spingendo nella direzione giusta. Più le nostre credenze sono avvalorate dagli “echi” delle persone a noi vicine più siamo disposti ad attivarci socialmente e politicamente per aumentare questa ridondanza. La domanda a cui stiamo cercando di rispondere è: dentro le echo chamber possono restare “intrappolati” anche i professionisti della comunicazione, ovvero coloro che – almeno in linea teorica – dovrebbero studiare, analizzare, comprendere e, in ultima istanza, utilizzare questi fenomeni sociali ai fini del successo commerciale di un brand?