Dall’edicola ai social: come cambia l’informazione nell’era dell’individuo-media
Ciascuno di noi può essere allo stesso tempo editore, giornalista e distributore di contenuti, ridisegnando il paesaggio mediatico in un mosaico di voci individuali
30 Gennaio 2025
State leggendo queste righe perché qualcuno vi ha girato il link su WhatsApp. Oppure, perché l’algoritmo dei social media, profilato sui vostri interessi, ve lo ha consigliato. Questo contenuto rientra in un flusso, pressoché infinito, di informazioni a cui siete esposti da mattina a sera.
Nel prossimo futuro, l’intelligenza artificiale affinerà ancora di più la capacità di fare incontrare gli interessi e i desideri delle persone con le informazioni più coerenti, al momento più opportuno. La sbornia di contenuti, tra media mainstream, social e mezzi alternativi, ha condotto a quattro principali conseguenze:
- La riduzione drammatica della soglia dell’attenzione nelle persone.
- La proliferazione delle echo-chamber: camere dell’eco in cui vediamo e ascoltiamo solo contenuti coerenti con le nostre idee e le nostre sensibilità.
- Il crollo della fiducia, specialmente nei media mainstream.
- L’idea stessa di fake news.
Fake news, una questione complessa
Partiamo dalla fiducia dei lettori nei confronti dei media mainstream: perché è così bassa?
Se stiamo ai rilevamenti e prendiamo come riferimento gli Stati Uniti, questa fiducia è al minimo storico: Gallup indica un 31% di cittadini che si fidano ancora dei giornali, percentuale che scende al 12% tra i repubblicani.
Se guardiamo all’Italia, la situazione non è migliore: secondo il Digital News Report 2024 di Reuters, solo il 34% degli italiani si fida delle news.
Uno dei primi fattori di sfiducia deriva dal quantitativo di balle che i lettori percepiscono all’interno dei media.
Tuttavia, ciò che per un lettore è una fake news, per un altro potrebbe rappresentare un dogma.
Quello che per il mio vicino di casa potrebbe risultare disgustoso, per me potrebbe essere un comportamento normale, se non virtuoso. L’idea di un intervento dall’alto che ci dica cosa è giusto e cosa è sbagliato leggere è fallimentare da tutti i punti di vista: chi decide cosa è buono per noi? Con che criterio?
Trattare i lettori come bambini da educare non è mai una buona strada.
Ritenere un contenuto sgradevole per la propria sensibilità non significa che si debba impedire agli altri di fruirlo. Ammesso che si entri in contatto con argomentazioni diverse dalle nostre credenze (rarissimo, nelle attuali piattaforme social), questo non dovrebbe scomporci: una piattaforma libera è libera per tutti.
Ciascuno darà fiducia a quello che crede migliore, sarà poi il mercato a premiare i mezzi più interessanti e credibili.
Gli abbonamenti si dirigono nei campi delle preferenze, le pubblicità seguono le passioni, la frammentazione degli interessi non rappresenta necessariamente un elemento negativo.
L’etica nei media? No, meglio una morale personale
In tutto questo, distinguere morale ed etica è fondamentale.
L’attuale “educazione all’etica” è una trappola: l’etica è espressione di un tempo, con le proprie tendenze e le proprie storture. La morale è invece custodita in ciascuno di noi, è questione di “alma”, per dirla come Javier Milei.
Cercare percorsi di sopravvivenza per i media mainstream legandoli alla percezione della credibilità e alla ricerca dell’oggettività è utopico: ciascuna fascia di lettori/ascoltatori orienta sempre più la propria fruizione verso fonti più consone alla propria morale privata.
La pretesa di oggettività e di verità è un tema, come abbiamo visto, ostico perfino per l’intelligenza artificiale, figuriamoci per le redazioni giornalistiche.
Sia il mercato a decidere la credibilità dei contenuti
“You are the media now”, il celebre post di Elon Musk non è semplicemente uno slogan propagandistico per incentivare l’uso di X, ma rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma nella comunicazione e nell’informazione.

Musk suggerisce che ogni individuo ha ora il potere non solo di scegliere quali contenuti consumare, ma anche di crearne di propri in piattaforme che non sono più editori (come erano diventati i social media negli ultimi anni), ma sono nuovamente spazi liberi per tutti.
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Assieme a tanti altri media alternativi: una galassia di podcast, magazine online e piattaforme di streaming.
La domanda che sorge è: chi ti leggerà se pubblicherai contenuti ritenuti sgradevoli?
La risposta potrebbe essere “nessuno”, a meno che tu non riesca a creare una piccola echo-chamber, un gruppo chiuso che condivide e amplifica le tue stesse opinioni.
Tuttavia, il mercato dell’informazione, guidato dalla preferenza degli utenti, tende a premiare chi produce contenuti di qualità, mentre penalizza chi diffonde informazioni false o disturbanti. Cosa che dovrebbe già di per sé rincuorare i media mainstream.
L’affermazione di Musk è stata messa recentemente in discussione durante la conferenza del National Press Club americano, dove Jim VandeHei, CEO di Axios, ha attaccato l’uomo più ricco del mondo: “My message to Elon Musk is b*llshit. You’re not the media!“.
VandeHei ha respinto l’idea che un singolo individuo possa sostituire i canali media tradizionali. Musk, tuttavia, non si è fatto intimidire e ha rilanciato: “You are the media now. They are the past”.
Con “loro”, Musk si riferisce a tutti i media mainstream, indicando una transizione verso una nuova era dell’informazione, decentralizzata e partecipata. “The medium is the message”, il celebre adagio di McLuhan, sembra ormai superato e “you are the media”, ribalta questo paradigma.
Ogni individuo diventa un canale di comunicazione, indipendentemente dal medium. Se un tempo il mezzo definiva il messaggio, ora è il messaggio stesso che si libera dei vincoli dei mezzi.
Ciascuno di noi può essere allo stesso tempo editore, giornalista e distributore di contenuti, ridisegnando il paesaggio mediatico in un mosaico di voci individuali.
Questo cambiamento non solo mette in discussione la centralità del medium ma propone una nuova era dove la verità è frammentata e soggettiva, lasciando l’individuo da solo a decifrare il caos informativo.
La ragione di esistere dei media tradizionali potrebbe essere proprio quello di sintonizzare ogni nuovo lettore sulle proprie frequenze preferite, in mezzo a tanto rumore. Prendere per mano l’utente e condurlo in una comfort zone meno caotica e più riflessiva. Riuscirci è questione di sopravvivenza.
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La “generazione post edicole”
Le statistiche ci dicono che più l’età si abbassa, più cala anche la fiducia nelle fonti. La pluralità porta allo sconforto?
Stefano Feltri su Substack l’ha chiamata “La generazione post edicole“, quei ragazzi che non hanno mai comprato un giornale cartaceo ma che, allo stesso tempo, si sentono curiosamente colpiti sul personale da un titolo di una testata, attribuendogli un’importanza eccessiva.
La generazione cresciuta senza aver mai conosciuto un giornalaio (e forse neanche un giornalista) tende a proiettare le proprie sensibilità sull’intera società, pensando che le opinioni della propria echo-chamber debbano coincidere con quelle di tutti.
Ogni volta che scoprono che così non è, si sentono disarmati e feriti.
Gli influencer del giornalismo e l’informazione a carosello
Ma dove si informa la Generazione Z?
La risposta è in tanti luoghi quanti sono i touchpoint tra l’utente e l’informazione, da mattina a sera. La questione fondamentale rimane la fonte: un profilo con decine o centinaia di migliaia di follower, che pubblica una notizia attraverso un carosello di Instagram, è attendibile?
Nel nostro tempo, grazie anche a un fenomeno chiamato “Effetto S. Matteo” (ricordate il passo evangelico: “a chiunque ha sarà dato”?), chi possiede più follower ne avrà sempre di più, proprio perché sarà riconosciuto più degno di fiducia.
Primo dubbio da sollevare: chi è più seguito non è detto che sia anche più affidabile. Molti di questi profili sono in gran parte quel che possiamo definire “influencer del giornalismo”. Ovvero, non sono né reporter che trovano le notizie sul campo, né giornalisti che raccolgono informazioni dalle proprie fonti con un lavoro complesso e approfondito. Veniamo così al principale malinteso generazionale: ogni notizia esiste perché qualcuno l’ha trovata.
Un carosello su Instagram di una piattaforma con milioni di follower rappresenta spesso solo un broker di notizie. Raccoglie, rielabora (spesso solo graficamente) e pubblica. Non si tratta più di giornalismo ma di influencer del giornalismo: è la pratica di riportare le notizie e postarle all’interno di un carosello Instagram o di un piacevole format multimediale audio o video, non di rado con grande efficacia visiva.
Capita che a questi contenuti venga associato un commento, spesso dettato da filtri ideologici. Venendo a una metafora gastronomica, è come se giudicassimo una bistecca non dalla provenienza, non dal sapore, non dal grado di cottura ma dall’impiattamento.
E, sulla base di quell’impiattamento, ci sentissimo perfettamente in grado, a nostra volta, di elaborare ragionamenti e riflessioni. La capacità di distinguere il giornalismo dai broker di notizie è questione di educazione digitale e cultura.
Il paradigma di Musk, “you are the media now”, diventa ancora più importante per spiegare questa nuova realtà: chiunque può essere credibile quanto un broker di notizie su Instagram e l’unica cosa che lo distingue è il numero di follower.
Ma non solo: un privato cittadino può essere persino più originale e interessante di queste piattaforme di informazione a carosello, perché più incisivo, immediato e – magari – inaspettatamente vicino alla fonte stessa della notizia.
Nell’era della velocità a tutti i costi, la prossimità con la notizia è il valore aggiunto: essere nel mezzo di un teatro di guerra o malauguratamente con uno smartphone vicino a un’esplosione in un deposito di carburante o una cattedrale in fiamme è un valore aggiunto.
Digital campfire: il giornalismo del futuro
Oggi escono più canzoni su Spotify in un solo giorno di quante ne uscivano nel corso di tutto il 1989. Le statistiche riguardanti le informazioni, sono ben più clamorose.
Il rumore di fondo di questa epoca crea lettori con una soglia dell’attenzione bassissima, sommersi da un diluvio di notizie.
Ma i media mainstream potrebbero trovare una ragione d’essere proprio in questa disputa: chi desiderasse avere un’informazione “ufficiale”, garantita da una redazione saprà dove rivolgersi e dove abbonarsi. Il futuro non passa dal proibire piattaforme e censurare opinioni (come vorrebbe Sandro Ruotolo, che ha scritto che l’Europa dovrebbe proibire X) ma dal lasciare decidere il mercato.
In questo nuovo scenario, il giornalismo tradizionale potrebbe reinventarsi, offrendo una controparte autorevole e verificata al flusso continuo di contenuti generati dai nuovi utenti-media.
L’accesso a notizie verificate e ad analisi approfondite potrebbe diventare un lusso per alcuni ma una necessità per altri, creando un ecosistema informativo dove andrebbero a convivere diverse modalità di produzione e consumo di notizie.
La sfida per i media tradizionali non è dunque solo quella di sopravvivere, ma anche di adattarsi, innovando il modo di narrare storie per un pubblico sempre più intimo, quasi come attorno a un fuoco da campeggio, dove si formano legami tra giornalisti e lettori, trasformando la testata in una comunità viva e coinvolta come mai prima d’ora.