Daily Brief – Lunedì 18 novembre 2024
Come motivare generazioni differenti di lavoratori in azienda
Oltre ai problemi di attraction ci sono anche problemi di retention. Vediamo come evitarle
23 Febbraio 2023
- Le strategie di gestione della workforce multigenerazionale rappresentano una leva strategica per l’engagement e la retention in azienda
- Come si coniugano motivazioni diverse tra colleghi e colleghe di età distanti
- L’eterno trade-off tra tempo e denaro nelle prospettive generazionali del total reward
<<Domina i nuovi scenari HR, tra Great Resignation e GenZ: esplora il Corso Employer Branding>>
Ripensare l’engagement coinvolgendo le aziende
L’ “abbandono silenzioso” ha innescato riflessioni sul coinvolgimento al lavoro. Oltre ai problemi di attraction, come la scarsità di nuove competenze digitali e sostenibili, ci sono anche problemi di retention, soprattutto in Italia, dove solo il 4% degli italiani risulta coinvolto nel proprio lavoro rispetto al 21% a livello mondiale. A questo scenario si aggiungono le sempre inquietanti prospettive demografiche, che non si può continuare a sottovalutare. Negli ultimi 5 anni, la popolazione in età da lavoro (16-64 anni) è diminuita di 756 mila persone. Nel solo 2022 di 133 mila. La scarsità dell’offerta di lavoro sarà sempre più una realtà, così come lo squilibrio tra occupati e pensionati e un minor gettito di entrate per servizi e welfare. LEGGI ANCHE: Cos’è il Quiet Quitting, la nuova fase delle Grandi Dimissioni Le cause di questo abbandono silenzioso (quiet quitting) o di “grande rassegnazione” collettiva, comprendono la volontà di evitare l’hustle culture, il burnout, lo stress da lavoro e la mancanza di quella leadership che aiuti a coniugare i bisogni aziendali con quelli individuali e di gruppo. Non bisogna poi dimenticare eventuali disillusioni di crescita personale e professionale che l’organizzazione compie attraverso i propri messaggi di employer branding. Tra le cause di questi cambiamenti che hanno portato al “Great Reshuffle” (come suggerito da LinkedIn), non dimentichiamo di includere anche molti fallimenti dei manager nel bilanciare benessere e obiettivi aziendali con la concreta crescita personale o con addirittura comportamenti diffusi di micro-management. A fine 2022, uno studio globale condotto da LinkedIn su 2.900 executive (C-suite) ha evidenziato un rallentamento delle assunzioni a livello globale, con il 34% delle aziende italiane che ha ridotto i propri piani di hiring. Oggi, quasi la metà (49%) dei lavoratori intervistati si sente più sicura di richiedere una promozione o una nuova opportunità rispetto all’inizio del 2022, mentre solo un quinto (20%) si sente meno fiducioso. Inoltre, il 47% si sente più a proprio agio nell’esprimere disaccordo con un superiore. In Italia, più della metà degli intervistati (54%) sta considerando di cambiare lavoro nel 2023, con differenze tra le fasce d’età: il 69% nel gruppo 18-24 anni, il 46% nel gruppo 45-54 anni, e solo il 27% nel gruppo over 55. La maggior parte dei Millennial (25-34 anni) e dei più anziani (35-54 anni) cita la necessità di guadagnare di più come la ragione principale per un cambiamento, mentre solo il 31% della Gen Z cita la paga come motivo principale. Invece, per i più giovani (18-24 anni), la ricerca di un migliore equilibrio tra vita privata e professionale (29%) e la sicurezza nelle proprie capacità (29%) sono ragioni importanti per cambiare lavoro, mentre solo il 23% dei millennial cita la work-life balance come priorità e solo il 19% si sente più sicuro delle proprie capacità. Solo il 20% della Gen Z segnala una buona work-life balance attuale, rispetto al 39% dei millennial e al 30% delle altre fasce d’età. Infine, il 25% dei lavoratori tra i 35-44 anni è annoiato dal proprio ruolo e cita questo come motivo per cambiare lavoro, una percentuale significativamente superiore a tutte le altre fasce d’età. LEGGI ANCHE: Il Quiet Quitting non è (solo) lavorare meno, ma lavorare meglio In questo scenario la parola chiave dell’engagement risuona fortemente, sia per frenare le emorragie di competenze e il loro continuo ricambio, sia per mantenere livelli di performance adeguati a mercati sempre più concitati e veloci, sia per superare le difficoltà di integrazione delle nuove generazioni in azienda.L’engagement intergenerazionale
Le generazioni attuali sono impegnate ad equilibrare le loro aspettative per il presente, che sono notevolmente differenti e in qualche modo risultanti dalla pandemia e dalle relative trasformazioni.
Engagement intergenerazionale: conviene puntare su tempo o denaro?
In tutte le indagini che approfondiscono le Nuove Generazioni in azienda, i giovani vengono rappresentati come una generazione che ricerca un equilibrio tra vita lavorativa e privata, presta attenzione all’impatto ambientale, all’integrità e agli effetti a lungo termine delle loro azioni. La loro soddisfazione sul lavoro e il loro impegno nell’azienda sono fermamente legati alla condivisione dei valori personali con quelli dell’organizzazione. Sembra quasi che la formula magica sia: maggiore sarà la coerenza con i principi e l’etica aziendale, più i giovani saranno in grado di dare il massimo. Ma non possiamo ridurre il ragionamento solo a questo: è necessario fare i conti anche con gli annosi, e pur sempre attuali, aspetti retributivi. Abbiamo compreso che il valore della gestione del tempo e del lavoro per obiettivi sembra essere maggiormente apprezzato dai Millennials e dai Gen Z lavoratori, laddove ne abbiano già fatto esperienza del mondo professionale, ma non sappiamo ancora se i giovanissimi (oggi studenti) effettueranno la loro stessa scelta culturale, o nutriranno una percezione del valore del denaro più pragmatica rispetto ai “cugini” di generazione. La crisi economica del 2008 influì sui Millennials facendo loro abbandonare molte pretese sulla carriera e la certezza del futuro professionale; sarà molto utile monitorare in questi anni gli effetti delle attuali difficoltà economiche su tutta la popolazione giovanile.Quanto guadagnano Boomer, Gen Z e Millennial
Una recente indagine di Odm Consulting ha rilevato che un impiegato di 30 anni guadagna il 34% in meno rispetto a un impiegato di 60 anni. Le retribuzioni medie di diverse generazioni, tra cui i Baby Boomer, la Generazione X, i Millennial e la Generazione Z, presentano notevoli differenze, creando un vero e proprio “generational pay gap“.