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Pepsi, Estée Lauder e gli altri brand che puntano sulla pubblicità nello spazio
15 Aprile 2025
Il 14 aprile, il lancio della missione tutta al femminile di Blue Origin, la società di Jeff Bezos, ha acceso i riflettori su come lo spazio stia diventando terreno fertile per interessi commerciali. Non è più un luogo riservato ad astronauti per missioni scientifiche, ma è diventato una reale destinazione turistica per miliardari e anche alcune aziende puntano a trasformare l’orbita terrestre in un canale pubblicitario.
Dalle origini della pubblicità nello spazio ad oggi
L’idea di fare pubblicità nello spazio non è inedita. Già nel 1996, Pepsi pagò 5 milioni di dollari per far fluttuare una lattina fuori dalla stazione spaziale russa Mir.
Nel 2018, Tesla ha realizzato una delle operazioni di marketing più iconiche (e letterali) “fuori dagli schemi”: il lancio nello spazio di una Tesla Roadster rosso ciliegia.
A bordo del razzo Falcon Heavy di SpaceX – altra azienda fondata da Elon Musk – l’auto è stata spedita in orbita attorno al Sole con un manichino in tuta spaziale soprannominato Starman. L’obiettivo non era semplicemente tecnico, ma profondamente simbolico: dimostrare le capacità del razzo e, allo stesso tempo, offrire un’immagine indelebile della filosofia.
Nonostante Musk abbia dichiarato che l’operazione non fosse una pubblicità, l’impatto mediatico è stato immenso: secondo stime di analisti, il ritorno in termini di visibilità per Tesla superò i 100 milioni di dollari, senza che l’azienda spendesse un centesimo in advertising tradizionale.
Nel 2019, sempre il brand Pepsi valutò il progetto di un cartellone orbitale in collaborazione con la startup russa StartRocket. Il progetto fu poi abbandonato a causa delle proteste pubbliche.
Estée Lauder, invece, ha pagato alla NASA circa 128.000 dollari per trasportare nello spazio 10 flaconi di un siero per la cura della pelle per un servizio fotografico.

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Rischi della pubblicità nello spazio
Secondo Dr. Robert Urban, esperto di marketing spaziale, “c’è reale interesse da parte dei brand per sponsorizzazioni legate allo spazio, ma quando si parla di pubblicità visibile nel cielo, entrano in gioco ostacoli etici, logistici e legali.”
La comunità scientifica è particolarmente preoccupata. L’American Astronomical Society ha chiesto un’azione globale contro la pubblicità spaziale, temendo che possa compromettere la ricerca astronomica e deturpare la bellezza del cielo notturno.
Alternative sostenibili per il marketing in orbita
Se l’orbita terrestre resta difficile da conquistare, c’è chi guarda più in basso — ma sempre verso l’alto.
La britannica Sent Into Space ha trovato un’alternativa sostenibile alla pubblicità nello spazio: palloni ad alta quota per mandare oggetti nella stratosfera e creare contenuti virali. Negli ultimi anni, hanno lanciato di tutto, dalla Pizza alle Nuggets.
“I nostri voli durano solo poche ore e tornano a terra. Non lasciamo detriti, né nello spazio né sull’ambiente” afferma Mike Bull, responsabile marketing dell’azienda.
Sfide legali
La legislazione spaziale è ancora poco chiara.
Il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1966 definisce lo spazio come bene comune dell’umanità. Non vieta esplicitamente la pubblicità nello spazio, ma impone agli Stati di evitare “interferenze dannose”, cosa che potrebbe applicarsi a cartelloni luminosi che ostacolano le osservazioni astronomiche.
Negli Stati Uniti, una legge nazionale vieta già la pubblicità “invadente” nello spazio.
Ma le interpretazioni internazionali variano, e Cina e India — con programmi spaziali in rapida crescita — potrebbero presto cambiare gli equilibri.
Pubblicità nello spazio, opportunità o provocazione?
Tra investimenti milionari, reazioni etiche e possibilità creative, la pubblicità nello spazio è uno dei temi più affascinanti e divisivi del prossimo futuro, e resta, per ora, un territorio (quasi) inaccessibile al commercio.