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Le logiche della comunicazione online che dovresti conoscere per investire (con profitto) sui canali digitali
28 Febbraio 2019

Da dove partire per comunicare online
Quali sono i principali strumenti digitali a disposizione dei brand per comunicare online? In questa distinzione, esistono strumenti che funzionano meglio di altri per qualunque business? «La segmentazione tipica degli strumenti di comunicazione online segue la logica Paid-Owned-Earned (POE): ● Mezzi Paid, tipici della pubblicità, che generano traffico attraverso piattaforme terze come video a pagamento, display (banner e native), social, search, DEM, affiliation. Tra questi mezzi possiamo considerare anche l’influencer marketing e il branded content sviluppato con editori terzi. ● Mezzi Owned, sviluppati dal brand per avere una presenza online: il sito (e quindi il contenuto e il SEO), la pagina social (e quindi la presenza editoriale), l’app creata dal brand, il CRM che permette di raccogliere e inviare email, messaggi, etc ● Presenza Earned, ovvero sviluppata grazie al contributo spontaneo di persone estranee al brand, che si esplicita attraverso commenti, review e condivisioni. È importante sottolineare che non c’è una serie di strumenti che funzionino meglio di altri in termini assoluti ma vanno articolati tutti nel rispetto degli obiettivi di comunicazione e della conoscenza o meno del brand o prodotto. Se siamo di fronte al lancio di una nuova realtà sul mercato possiamo lavorare bene di SEO e content marketing ma dovrò attendere più tempo per farmi conoscere da zero. Così come la promozione a pagamento di una nuova pagina o account sui social network sarà imprescindibile».
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Il ritorno di investimento del digital
In che modo il trend del video marketing andrebbe integrato nella strategia complessiva di marketing per avere un effettivo ritorno? «C’è grande enfasi sul video. A livello pubblicitario, secondo i dati della holding media GroupM, il video rappresenta un terzo del mercato e nel 2018 è cresciuto del 27% rispetto all’anno precedente. Anche in questo caso occorre sempre fare differenza tra i video owned, che sono ricercati e apprezzati dagli utenti, ma che devono emergere dalla massa attraverso una strategia chiara di diffusione, e i video paid, che raggiungono tante persone senza essere però essere “richiesti”, secondo la tipica logica pubblicitaria. In quest’ultimo caso è fondamentale considerare la scarsa attenzione delle persone, motivo per cui occorre valutare metriche di attenzione degli utenti quali il Competion Rate e il View Through Rate e cercare di ottimizzare i contenuti di conseguenza. Le analisi econometriche, che valutano il contributo pubblicitario al raggiungimento degli obiettivi di vendita, prevedono molto spesso ritorni positivi per l’utilizzo dei video, soprattutto quando vengono pianificati in modo complementare rispetto alla pubblicità televisiva. Stiamo quindi parlando di aziende grandi con budget molto capienti. Per brand medio/piccoli è meglio partire da altri canali, quali search, social, display, DEM, i cui ritorni si possono calcolare in modo più diretto». In che modo andrebbe misurato il ROI dei nostri investimenti pubblicitari? «Se lo chiedeva già John Wanamaker nel 1876 quando diceva: “metà del denaro che spendo in pubblicità è sprecato e il guaio è che non so quale metà sia”. Da allora abbiamo fatto notevoli progressi. Possiamo utilizzare modelli econometrici che sono in grado di isolare i contributi delle singole leve pubblicitarie e valutarne il ritorno. Sono tecniche molto avanzate che si basano su modelli statistici. Ancora una volta, vanno bene per realtà grandi che spendono milioni di euro in pubblicità. Per le piccole realtà torniamo agli analytics, che però non ci permettono di apprezzare le campagne erogate online che magari hanno generato traffico o vendite in punti vendita fisici».