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  • Perché è importante sviluppare le competenze linguistiche nell’era dell’AI

    4 Agosto 2025

    Negli ultimi mesi si è iniziato a parlare con toni quasi “distopici” di una futura “AI Job Apocalypse” (“apocalisse dei lavori”): gli algoritmi stanno diventando sempre più capaci di svolgere (in tempi record e con costi contenuti) mansioni prima riservate agli esseri umani.

    Un cambiamento che promette efficienza, ma che apre anche interrogativi profondi sul ruolo delle competenze umane nel lavoro del futuro. 

    Secondo il Future of Jobs Report 2025, tra il 2025 e il 2030 la trasformazione strutturale del mercato del lavoro potrebbe interessare il 22% degli impieghi attuali.

    sviluppare competenze linguistiche il report di mckinsey del 2017 cambiamenti nel mondo del lavoro

    Si prevede la creazione di 170 milioni di nuovi posti di lavoro (14% dell’occupazione attuale), ma anche la scomparsa di 92 milioni di ruoli esistenti. I primi sistemi di intelligenza artificiale predittiva, che hanno iniziato a diffondersi nel 2010, hanno già portato a significative perdite di posti di lavoro in settori come il customer service, la manifattura e la logistica.

    Ad esempio, un report di McKinsey del 2017 stimava che, entro il 2030, circa 400-800 milioni di posti di lavoro a livello globale avrebbero potuto essere automatizzati, principalmente grazie ai progressi nel machine learning e nella robotic process automation.

    sviluppare competenze linguistiche il report di mckinsey del 2017 impatto dell'automazione

    Quindi, sebbene la sostituzione di alcuni lavori da parte delle macchine non sia una novità, l’emergere dell’intelligenza artificiale generativa rappresenta un cambio di paradigma: l’AI non si limita più ad automatizzare compiti ripetitivi o basati sui dati, ma entra in ambiti creativi, comunicativi e decisionali. 

    L’Italia non è esclusa da questo scenario e mostra una criticità ulteriore legata all’acuirsi del gender gap: la ricerca Censis-Confcooperative “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?” documenta come le donne risultino più esposte rispetto agli uomini, rappresentando il 54% dei lavoratori a rischio sostituzione e il 57% di quelli per cui l’AI agisce in modo complementare.

    Una tendenza che, anche nel contesto italiano, solleva interrogativi su equità, politiche di formazione e accesso alle competenze digitali.

    Ma perché stiamo assistendo a questa rapida trasformazione? Motivi tecnologici e strutturali si intrecciano tra di loro.

    Se da un lato, grazie al machine learning, i sistemi di AI diventano sempre più efficienti e personalizzabili, rendendo l’adozione su larga scala molto rapida, dall’altro lato le aziende che adottano l’AI prima delle altre ottengono un vantaggio competitivo in termini di efficienza, innovazione e personalizzazione dei servizi.

    Lo sviluppo crea una spinta sistemica all’adozione della tecnologia, che si riflette sul lavoro e sui modelli organizzativi.

    In questo discorso si inserisce anche l’evoluzione delle competenze linguistiche e come l’utilizzo di strumenti sempre più sofisticati (traduzioni simultanee, generazione automatica di testi e il riconoscimento vocale) sollevi una serie di nuovi interrogativi: è ancora necessario imparare le lingue? Stiamo assistendo ad una sostituzione o ad una trasformazione? La scrittura professionale sarà sempre più mediata dalla tecnologia? Quali competenze linguistiche potrebbero essere richieste nei prossimi 5 anni? 

    Esploriamo insieme questo tema per dare risposta ai principali interrogativi e capire quali competenze linguistiche diventeranno un vero vantaggio competitivo nel futuro del lavoro.

    Come cambia la formazione linguistica: il focus sulla capacità comunicativa

    Se qualche anno fa imparare una lingua era prima di tutto una competenza tecnica definita dalla corretta coniugazione dei verbi, dalle traduzioni fluide, dalla conversazione fluente, oggi il valore si sposta sempre più su cosa sappiamo fare con quella lingua. 

    Gli strumenti automatizzati contribuiscono a rendere la comunicazione globale più facile e sono sempre più efficienti nella correzione di grammatica, ortografia e sintassi: secondo l’ultima ricerca di Babbel for Business commissionata all’istituto Censuswide, la metà degli italiani (51%) dichiara di fidarsi “abbastanza” delle traduzioni dell’AI, una quota che raggiunge il 59% tra coloro che utilizzano regolarmente una lingua straniera nella propria azienda.

    Il dato evidenzia il fatto che chi ha maggiore familiarità con le lingue sembra riconoscere la qualità del supporto offerto dall’AI o possiede comunque le conoscenze, e una marcia in più, per poter fare un controllo sull’attendibilità. Essere però in grado di comunicare in un contesto culturale delicato, negoziare sfumature, usare le parole corrette al momento giusto, comprendere il tono e leggere tra le righe sono tutti elementi che costituiscono la sensibilità culturale umana e che l’AI non può sostituire.  

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    Trasformazione o sostituzione? Emergono nuove competenze linguistiche

    Se da un lato l’intelligenza artificiale potrebbe soppiantare competenze più semplici e ripetitive, dall’altro lato trasforma e valorizza quelle più complesse, creative e strategiche. 

    L’uso crescente di strumenti generativi come chatbot, assistenti virtuali o piattaforme di content creation automatizzata richiede, infatti, nuove forme di alfabetizzazione linguistica, come la scrittura e traduzione di prompt efficaci (input testuali o visivi forniti a un modello per ottenere risposte pertinenti e di qualità), la capacità di interpretare criticamente i contenuti prodotti dall’AI, di riconoscerne eventuali ambiguità, generalizzazioni o bias culturali, e soprattutto di riformulare i testi con tono, senso e rilevanza.

    Senza dimenticare che, ad oggi, l’intelligenza artificiale opera in modo più efficace in lingua inglese. In diversi ambiti, quindi, utilizzare con successo strumenti basati sull’AI può richiedere un buon livello di competenza linguistica, rendendo la conoscenza dell’inglese un requisito sempre più rilevante.

    In questo nuovo equilibrio tra uomo e macchina, emergono quindi figure professionali capaci di coniugare sensibilità linguistica, competenza interculturale, pensiero critico e padronanza degli strumenti digitali.

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    La scrittura professionale e la mediazione tecnologica: le lingue come risorsa strategica

    Nelle comunicazioni aziendali, nei processi di customer care, nelle proposte commerciali e persino nelle mail quotidiane, gli strumenti di intelligenza artificiale stanno diventando co-autori silenziosi ma presenti. 

    Questo significa che la scrittura professionale sarà sempre più mediata, ma non necessariamente automatizzata. Anzi: la presenza dell’IA rende ancora più centrale il ruolo di chi sa guidare la comunicazione, dare coerenza al tono di voce, correggere errori contestuali o culturali, e (soprattutto) scegliere cosa dire, a chi, e come.

    La competenza linguistica non viene meno, ma si trasforma in una risorsa strategica per affinare e umanizzare contenuti prodotti (anche) dalla tecnologia.

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    I possibili cambiamenti del mercato del lavoro nei prossimi 5 anni

    Prevedere come cambierà il mondo del lavoro nei prossimi 5 anni non è semplice per via dell’accelerazione delle innovazioni tecnologiche, ma nel panorama lavorativo che si va delineando possiamo immaginare che le aziende continueranno a cercare professionisti in grado di comunicare in modo autentico, efficace e consapevole anche all’interno di ecosistemi digitali.

    Saranno richieste capacità come la scrittura interculturale, l’adattamento di contenuti multilingua a mercati diversi, ma anche abilità più sottili come la gestione del tono, la padronanza delle sfumature, la sensibilità semantica. 

    In parallelo, la capacità di collaborare in lingua straniera, via chat, videochiamate o piattaforme condivise, diventerà sempre più cruciale, sia per motivi organizzativi che per costruire relazioni di fiducia a distanza.  

    Oggi più che mai, la padronanza della lingua resta una componente essenziale della leadership.